Nuovi amministratori, nuove politiche urbane: la Lombardia cambia, a partire dal territorio

ELEZIONI, UN’AGENDA EUROPEA PER LE 1000 CITTA’ DI LOMBARDIA

Oltre 1000 municipi lombardi si accingono all’appuntamento elettorale 2014: oltre ai capoluoghi, la sfida riguarda gran parte dei medi e piccoli centri della regione amministrativamente più polverizzata d’Italia, con i suoi 1500 centri di governo locale: in Lombardia la superficie media di un comune è di 1550 ettari contro una media nazionale di 3700. Un vantaggio, in termini di vicinanza tra cittadini e loro amministratori, ma anche un limite di efficienza e risorse tecniche: aspetto che tende a prevalere in tempi di ristrettezze economiche, allorché i comuni, pur vicini ai cittadini, non sempre possono erogare i servizi che questi si aspettano. Il difficile momento deve imporre una riflessione capace di affiancare e rendere più efficiente il governo locale, evitando che continui ad essere il soggetto più debole della filiera istituzionale, primo bersaglio di tagli nei trasferimenti e limitazioni nella spesa. Lo strumento delle gestioni associate ha dimostrato in più casi la sua efficacia, ma occorre passare dall’efficacia amministrativa a quella territoriale: per questo anche il governo del territorio deve essere affrontato alle scale adeguate ad evitare duplicazioni di funzioni che consumano spazi fornendo prestazioni, nel complesso, più scadenti.

La considerazione del momento di difficoltà che stiamo attraversando ci esorta ad un incoraggiamento verso quei cittadini e cittadine che in condizioni così sfavorevoli accettano la sfida democratica e si candidano ad amministrare, accettando di divenire ad un tempo animatori e custodi istituzionali del patrimonio comunitario.

Non possiamo che ragionare in termini di sfide: dalla crisi non si uscirà aspettando soccorsi, ma investendo risorse e impegno nella direzione giusta. Risorse che possono venire anche dall’Europa, che nel 2014 avvia una nuova programmazione in cui i comuni sono soggetti eleggibili
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Facciamo la nostra parte, come associazione che da sempre professa il cambiamento del modello di sviluppo, consapevoli che il cambiamento è oggi precondizione per l’emersione dalla crisi e lo sviluppo di nuove politiche industriali, che sappiano rilanciare l’occupazione, a partire dai green job e dalla re-industrializzazione intelligente nel tessuto delle nostre città.

Ci rivolgiamo ai candidati e alle candidate dei 1000 comuni lombardi che si apprestano alla consultazione elettorale. Comuni grandi, medi o microscopici, ma li chiamiamo tutti città, senza distinzione, perché ci piace un modello di vivere urbano che prescinde dalla dimensione, ma condivide un’idea di efficienza nell’uso delle risorse naturali, che ha bisogno di meno energia e materiali perché dispone di una elevata densità di relazioni economiche e culturali, anche in rapporto al circostante spazio rurale, che pratica tante forme di ‘scambio sul posto’: dall’energia, alla terra, al cibo e alle relazioni sociali. Non occorre essere grandi per essere città, bastano creatività, apertura, propensione ad investire in qualità della vita e dell’ambiente. Anche una piccola contrada può essere ‘smart’. Dipende dalle persone che la abitano e dalla qualità, naturale e culturale, del territorio.

Proponiamo 6 temi di impegno per l’agenda del cambiamento, da sviluppare nei programmi elettorali e da attuare nell’azione di governo: il primo, relativo al governo del territorio, è per noi la precondizione per la credibilità di chi si propone al governo delle città.

Efficienza negli usi del suolo e negli spazi della città – il suolo e lo spazio pubblico sono i maggiori patrimoni di una comunità. Nella pianificazione urbanistica è ora di dire basta a nuove dissipazioni di suolo. Ma urge anche sottoporre a severa revisione le previsioni inattuate della pianificazione urbanistica, spesso giustificate più da aspettative speculative e di rendite elettorali che da bisogni reali: il territorio è un bene comune non rinnovabile e non deve e non può più essere dissipato: il ‘consumo di suolo zero’, che implica anche il coraggio di cancellare previsioni inattuate. Il progetto di città deve dare impulso alla sua rivitalizzazione, riportando qualità edilizia, socialità e produzione nelle aree e negli edifici dismessi che della città già sono parte. Sviluppando edilizia di qualità per i centri storici e i quartieri residenziali, liberandoli dall’invadenza delle auto, affrontando complesse operazioni di rigenerazione urbana, progettando ecoquartieri in grado di rigenerare aree in abbandono e di offrire un superiore standard di benessere residenziale, rinunciando allo sviluppo della Grande Distribuzione. Terreno di sfida è anche quella della partecipazione al progetto urbanistico: la VAS, svilita e banalizzato un po’ dovunque, deve tornare ad essere arena incisiva e trasparente di confronto sugli effetti ambientali delle scelte urbanistiche, coerentemente con quanto impone la direttiva europea.

Efficienza energetica, dai Piani Energetici ai bilanci comunali – moltissimi comuni si sono dotati di piani per l’efficienza energetica, per gli edifici e i servizi pubblici come per l’edilizia e le attività private. Pochissimi sono invece quelli che hanno trasformato questi piani in voci di bilancio, al capitolo investimenti e a quello dei risparmi in bolletta: si pensi al settore dell’illuminazione pubblica, rilevante voce di spesa, che oggi può beneficiare di notevoli margini di miglioramento d’efficienza, coniugando nuove fonti luminose con adeguate progettazioni illuminotecniche.
La riduzione degli sprechi energetici e dell’inquinamento da impianti termici non può prescindere dall’azione delle istituzioni di governo locale, nel praticarla rispetto al patrimonio pubblico e nel promuoverla negli interventi dei privati

Mobilità intelligente e adatta al contesto – l’automobile privata è un costo eccessivo per le famiglie, ma anche per i comuni, chiamati a gestire e manutenere crescenti spazi pubblici, personale e servizi ad uso esclusivo della circolazione e sosta delle auto. Occorre perseguire politiche di moderazione del traffico e della sua velocità (zone 30 in tutte le aree residenziali) e di limitazione di spazi di sosta, per restituire la città alle persone. Per farlo occorre ridurre la dipendenza dalla mobilità privata mettendo in campo possibilità e servizi alternativi e competitivi, adatti al contesto territoriale: dalla mobilità collettiva alla intermodalità lenta (bici+treno, bicistazioni sicure, servizi a chiamata e condivisione dell’auto), sfruttando anche le nuove possibilità offerte dallo sviluppo della ICT e dei servizi di infomobilità. Ma significa anche progettare la città in modo integrato con l’offerta di servizi collettivi di mobilità, affinché questi risultino attraenti e competitivi.

Custodire gli spazi rurali e gli ambienti naturali – per troppi anni la campagna è diventata spazio ‘altro’ dall’azione di governo locale. Abbiamo assistito passivamente allo spopolamento e all’abbandono del territorio rurale, alla banalizzazione del paesaggio agrario e pastorale, e solo oggi ci rendiamo conto di quale potenziale di benessere si sia perso. Ma non in modo irreparabile: tornare ad essere custodi del territorio, con progetti e azioni che puntino alla cooperazione con i proprietari e i conduttori delle terre ma che mobilitino anche coloro, singoli e associazioni, che non hanno terra ma possono contribuire al miglioramento e alla riappropriazione di quel paesaggio. E’ qualcosa di più di una azione di animazione territoriale: promuovere la custodia del territorio significa anche tramandare un legame originale della comunità, e mettere in valore un patrimonio collettivo, che non mancherà di promuovere iniziative di impresa legate alla produttività materiale e immateriale di un territorio di qualità, prevenendo il dissesto idrogeologico attraverso l’azione minuta di manutenzione del territorio.

Meno rifiuti, più scambio – la crisi ha messo in discussione un modello di economia legato al consumo dissipativo e alla conseguente produzione di rifiuti. Si tratta ora di riportare al centro della generazione di valore non più il consumo e la dissipazione, ma il momento dello scambio, in grado di moltiplicare e rigenerare il valore di oggetti e merci. La riduzione dei rifiuti, prima ancora della loro corretta separazione e riciclaggio, è l’esito virtuoso di una diversa consapevolezza del valore dei materiali, che punti alla prevenzione degli sprechi evitabili e alla ristrutturazione di un mercato di prossimità e di reciprocità. Per ogni comunità la riduzione dei rifiuti da avviare a smaltimento deve costituire un programma costante di miglioramento e di contrasto allo spreco, e un terreno in cui sviluppare crescente consapevolezza circa il valore anche economico della sobrietà, intesa non in chiave depressiva ma come crescita di prestazioni dei materiali e dei prodotti.

Tutta l’acqua in comune – il tema dell’acqua, oggetto di mobilitazioni ma anche di ansie sociali – ansie che fanno fatturare miliardi all’industria dell’imbottigliamento – richiede un governo a livello di ambiti più estesi di quello comunale, ma questo nulla toglie alle responsabilità civica nei confronti dell’acqua che non è solo quella pulita che esce dai rubinetti, ma anche quella che cade dal cielo: in un comune lombardo medio piovono 17 miliardi di litri d’acqua all’anno, quasi 3 milioni di litri per abitante! Questa enorme quantità d’acqua può alimentare le falde e i corsi d’acqua, può essere intercettata e utilizzata, oppure finire impropriamente nelle fogne e provocare alluvioni e allagamenti. Il drenaggio urbano, la corretta gestione delle acque di pioggia, la separazione e il riutilizzo delle acque bianche, il governo del reticolo minore e del ruscellamento per prevenire il dissesto idrogeologico, sono tutti grandi temi progettuali che hanno molto a che fare con la corretta manutenzione del territorio e della città, insieme al corretto collettamento di tutti gli scarichi fognari che ancora oggi rappresentano un carico inquinante inaccettabile per i nostri corsi d’acqua.

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